Ricordi di viaggi di un italiano nascosto

di Enrico Proietti



silenzi@live.it

Santo Domingo

11.11.2013 20:58

Ho avuto la fortuna di vedere molti mari bellissimi, alcune tra le spiagge considerate le migliori al mondo. Certamente, uno dei primi posti della mia classifica personale è occupato dalla Playa del Bavaro a Punta Cana, nella Repubblica Dominicana, costa atlantica. Già, atlantica, non caraibica: anche se tutti i cottimisti di Martinengo (BG) che ci vanno con le loro canotte zigrinate sono convinti di bagnarsi nel Caribe.
È una spiaggia favolosa, larga, lunga decine di chilometri, costeggiata dalle immancabili palme, di sabbia chiara e fine, per lo più rivolta a nord-nordest, per cui hai il sole alle spalle e puoi incessantemente guardare il mare nei suoi trasparenti riflessi e nella solidità corporea dei suoi colori, lasciandoti trasportare dalla pacifica convivenza di questa che, altrove, sarebbe una contraddizione. La laguna formata dalla barriera corallina, in quanto tale, è sempre calma, quindi l’acqua non sconvolge, se non durante gli uragani, la fronte sabbiosa, la quale così è rilassata anch’essa e comunica al turista, foss’anche il cottimista dal naso rosso e la zucca pelata sudaticcia, la medesima rilassatezza. Niente squali né grossi altri pericoli. Un posto dove assaporare la pace del cosmo con la punta dei piedi, immersi nell’acqua dal sapore primordiale.

– Aeroporto di Madrid, metà giugno.
Sono di ritorno dagli Stati Uniti e diretto a casa. Tra le immancabili file, subito vedo un profilo conosciuto. Come mi viene d’istinto, tento di nascondermi. Troppo tardi. Mi agguanta col suo sorriso complice e la sua aria da vecchio amico. È solo un conoscente!
“Ma, anche tu qui?” mi chiede.
“No, non ci sono...” vorrei rispondergli, ma purtroppo ci sono e sto ascoltando il suo stupido esordio.
“Dove vai, dove sei stato, che fai?” Glielo dico.
“Ah, gli Stati Uniti, i grandi spazi, le grandi distanze, una vita diversa, le belle donne... Hai traversato i grandi deserti, questi spazi immensi; hai visto il Grand Canyon? Lì, è tutto più grosso...”
“Veramente sono stato a Boston...”
“Ah, Boston, sta sopra vero?”
Sono già irritato, per carità, ma la domanda se Boston fosse sopra... Sopra a che? Voleva forse dire sopra New York, o forse genericamente ‘al nord’?
“Ehm, sì, è sopra New York, piuttosto al nord degli Stati Uniti.”
“Ma sta... no, sta di quà, vero?”
Ancora! Sono dunque questi i concetti geografici che insegnano nella scuola italiana: sopra, sotto, di quà, di là. E pensare che addirittura qualche matto ancora disegna carte e mappe, con nord e sud, est e ovest...
“Ehm, è sulla costa atlantica.”
“Eh, di quà, sì.”
Capisco che ‘di quà’ significa ‘ad est’. Un passo avanti. Permango comunque assai irritato. Per lo meno, devo impicciarmi un po’ dei fatti suoi. Non faccio in tempo. È lui ad attaccare ancora.
“E che ci fai allora a Madrid?”
Vivo a Madrid, cazzarola, anzi no, a Salamanca, ora devo prendere il treno, per cui ciao, ciao... Anzi, no, vivo a Boston e sono venuto in vacanza a Madrid...
“Bè, suppongo quello che ci fai tu!”
“Ah, no, io devo prendere la coincidenza per Roma, sai, sono stato a Santo Domingo.”
Santo Domingo! Lì dove non ho fatto che il turista dentro l’hôtel sulla spiaggia... Il pensiero del sole, del mare, della frutta e dei sapori tropicali, dei grandi ‘ab-buffets’ a self-service, mi allenta la tensione. Mi distendo in un sorriso anch’io.
“Bene, Santo Domingo. Dove sei stato, a Punta Cana?” Tutti gli alberghi e i villaggi sono lì, il litorale caraibico dell’isola non è adatto alle vacanze spiaggere.
“Punta Cana...? No, dove sta...?”
Lo interrompo prima che ricominci con sopra, sotto, di quà, di là: “Guarda, sta a circa tre ore dall’aeroporto, ti ci portano con il pullman... Ricordi?”
“Ah, no, no, ho capito. Deve stare sù, sopra. No, io sono stato in città... Hai capito?”
Caspita, no, non avevo capito, nemmeno aiutato dal fare allusivo con il quale aveva finito la frase. “Hai capito?”, come a lasciar intendere che... Vuoi vedere che il vilipeso si riscattava e riservava strabilianti sorprese? Un italiano che non andava ai Caraibi per la settimana-quindici giorni di irascibilità sotto al sole, stemperata alla sera dall’intrattenimento solo per i primi 3-4-5 giorni, poi un po’ dalla giornata in gita alle rovine del villaggio precolombiano costruite dall’architetto italiano negli anni ’80, poi più da niente? E che quindi, lui non così demente, restava nella città di Santo Domingo per fare qualcosa di importante o di diverso dalla massa? Sta’ a vedere che quando mi aveva detto Santo Domingo, anziché sbagliare il nome del Paese, come tutti, intendeva proprio Santo Domingo, come io intendevo Boston dicendo Boston? Forse sotto la pelle abbronzata, il capello corvino adagiato lussuriosamente sulle spalle, la gioielleria che si porta appresso, il fare da eterno ragazzo, il sorriso prêt-à-porter, si nasconde un animo insospettabile?
In fondo – l’avevo notato subito, malgrado tutto – non era vestito da vacanziero, ma indossava una buona camicia azzurra nemmeno sudata (un po’ troppo slacciata sul collo, forse) su pantaloni in fresco lana grigio scuro e neri mocassini (eh sì, mocassini: ma eleganti).
Sono talmente sorpreso da prendere io il ruolo che avevo attribuito a lui. “Vabbè, ma se uno va a Santo Domingo, mica se ne deve stare in città, se ne deve stare al mare, quello... di sopra.”
“Allora non hai capito niente...”
Ecco, mi sta bene, ora è lui a darmi saccenti lezioni. In effetti, si sa, non avevo capito. Pensavo, supponevo, maturavo convincimenti e misuravo sensazioni, valutavo le parole e i dati obiettivi: ma capire, no, proprio no!
“Le donne si trovano in città, eh!”
“Le... le donne?”
“Ah, che fiche...! Ti si attaccano subito, come vedono che sei italiano... Quelle chissà che si credono. Tu gli racconti un sacco di cazzate, gli fai qualche regalino, te le porti a cena e poi...” Ride, la bocca, più che una bocca, sembra una fetta d’anguria andata a male: il viso, una maschera di tragedia greca adattata a farsa stupida.
“Eh, poi... Non gli basta mai, ‘ste negrette, so’ proprio zoccole... Ahò, anche due insieme... Con ‘sti amici...” e mi indica due ragazzoni abituati alla costrizione di un’eleganza da ceto sociale in mostra che stanno in fila. “Eh, certe feste...”

Mi vergogno di essere uomo. Ancora una volta, come troppe ormai. Dico uomo, ma non necessariamente nel senso di maschio: piuttosto come essere umano, destinato da un Dio o dal caso (ognuno faccia come/se crede) a offrire una traccia di se in un mondo che si trova a dominare, unico in grado abbastanza di capire perché, come, dove, quando, ecc... Mi vergogno come appartenente alla razza umana, dotata dei mezzi per elevarsi. Non credo sia moralismo prêt-à-porter come il suo sorriso, il mio: è vero annichilimento del credere nelle capacità umane, è sincera pena per l’ennesima sconfitta.
Mi vergogno anche di essere italiano, nazionalità che, peraltro, non ho scelto. Italiano come costui, convinto di aver sedotto e soddisfatto le “negrette”. Poveraccio!
Vorrei forse sputargli in faccia, soprattutto per avermi fatto perdere così tanto tempo. C’è gente – italiani che hanno ascoltato, magari. Abbozzo un: “Eh già!”
Ma poi, improvvisamente, attacco: “E tua moglie?”
Il sorriso, volendo, si fa ancora più ampio e divertito. Mi strizza l’occhio (mi sta chiedendo forse di essergli complice?). Mi appoggia la mano sulla spalla: “No, quella sa che venivo a Madrid per organizzare la gita aziendale... Hé!”
Mi ricorda il mio ex collega Augusto, grande scopatore di mestiere, convinto che la moglie si bevesse tutte le sere quello che gli raccontava lui; cioè che andasse in piscina per i corsi di sub, di cui era istruttore. Si vantava più della capacità di ingannare la moglie di quanto non facesse per le sue conquiste effimere. Un giorno la signora lo ha convocato e gli ha freddamente spiegato che da tre anni lo tradiva regolarmente, tutte le sere, e che ormai era arrivato il momento di lasciar perdere di mentirsi: per cui lo invitò ad abbandonare il tetto coniugale!

E lì, tra le file dell’aeroporto Barajas, matura in me la convinzione che nella Repubblica Dominicana feci bene a fare il turista spiaggero e a non andarmene in giro per la capitale Santo Domingo: avrei potuto incontrare qualche tipo col sorriso come una fetta d’anguria decomposta.