Ricordi di viaggi di un italiano nascosto

di Enrico Proietti



silenzi@live.it

Brasile

05.11.2013 19:07

Non ho visto nulla di eclatante in Brasile. Intendo dire che non ho assistito a nessun omicidio, nessuna aggressione, non sono entrato nelle favelas, non ho conosciuto indios malati, non ho sentito dire di bambini venduti.
Però ho veduto Paulinho – nove anni, giovane guida a pagamento sulle dune a nord di Natal – rifiutarsi di entrare all’interno del buggy e rimanervi aggrappato fuori: e poi rifiutarsi di dividere le caramelle con uno dei tanti suoi compagni di gioco rosi dalla lebbra e costretti a vivere su una tavoletta a rotelle.

Ardeva qualche coscienza?

Ho veduto Almeida da Serra, 50 chilometri da Sâo Paulo e 10 minuti di macchina da Jandira – cioè da migliaia di casupole insane costruite malamente una sull’altra coi soldi del governo che così facendo può dire di non avere favelas di cartone –: Almeida da Serra, una cittadella che ricorda Disneyland, con ville da favola, ma costituita di due cerchia concentriche di mura che la separano dal brasile (con la b minuscola) e separano poi i separati di serie B da quelli di serie A.

Ardeva qualche coscienza?

Ho veduto Edwirgens rattristarsi quando concludeva immancabilmente i suoi discorsi (pur reputandosi una fortunata) con le parole “ma purtroppo sono nata quaggiù”. Ed io non capivo quanti fra tutti noi che ammiravamo la sua esuberante vitalità e il suo corpo comprendessero la profondità della sua malinconia.

Ardeva qualche coscienza?

Ho veduto missionari italiani far giungere dalla Padania una squadra di operai volontari (cioè che rinunciavano a un mese di lavoro ben pagato) per costruire un nuovo seminario: e gli uni e gli altri ridevano della poca voglia di lavorare dei locali, e questi erano coloro che vivevano in quelle migliaia di casupole insane costituenti la cintura di Sâo Paulo.[1]

Ardeva qualche coscienza?

Ho veduto Dina – 24 anni, tre figli di cui l’ultima ancora poppante, avuti da tre diversi europei – piangere nella notte, seduta accanto a me mentre la portavo via (e sembrava un fuscello che si lasciava tirare lontano dalla riva, certo che le onde – anziché perderlo nell’oceano – l’avrebbero ricondotto sulla spiaggia); via dalla sua sbagliata idea di sogno d’amore, e d’altro, ancora personalizzata in un europeo. E ho veduto un quarantacinquenne di Ascoli Piceno sedutosi per forza dietro a noi pretendere da me che gli raccontassi tutti i particolari della vicenda, commentare le mie scarne informazioni con un “queste fanno sempre tutte così” (sapendo benissimo che lei parlava italiano) e immediatamente mettere le mani sulla ragazza, nell’intento – dal fine per lui scontato – di fare sesso.

Ardeva qualche coscienza?

Ho veduto il mio compagno di viaggio costretto a tornare a cambiarsi in albergo a Foz do Iguaçu perché non era consentito entrare in discoteca con i pantaloni corti e ho veduto a Rio la discoteca Help, consigliata a gran voce da due ragazzi romani che ci avevano passato tutte le notti: un troiaio dove italiani e qualche tedesco, sudati, si dimenavano ossessionati dal sesso e le ragazze (lo erano tutte?) non ti salutavano, no, ti saltavano direttamente al collo, o a qualche parte più bassa.

Ardeva qualche coscienza?

Ho veduto Manaus, avvizzita isola nel mare verde della cupidigia, e i giri turistici dell’Hotel Tropical – caserma di lusso per americani – nella “selvaggia” foresta amazzonica: lungo i sentieri strabattuti, cartelli seminascosti con le frecce di direzione; sugli alberi, le mille intacche di altrettante dimostrazioni di come fuoriesce la resina, o la manna, o la gomma, o che caspita fosse. Ho pure veduto le reazioni di chi, alle considerazioni sulla distruzione dell’Amazzonia, rispondeva chiedendo se si sapesse quante aree fossero state riconquistate dalla foresta e, soprattutto, perché noi europei e i nordamericani ci attaccassimo all’Amazzonia dopo aver distrutto le foreste di casa nostra.

Ardeva qualche coscienza?

Ed ho veduto il Corcovado, e sotto mischiato tutto quello che avevo già veduto.

 

        Cristo chiudi le braccia !

        Redimi

        questi grumi sospesi

        Comprendi

        nella misericordia

        tua l’orrido

        spettacolo che t’offre

        il male

        Chiudi con il tuo gesto

        la vista

        sugli attori rappresi

        nelle assi

        di questo palco ignobile

        Tu Cristo,

        palpitante pensiero,

        gran gioia

        nascosta o sottintesa

        dei ciechi,

        tu lassù sembri arrenderti

        al tempo,

        rassegnarti al dolore,

        bastare

        dell’affetto d’un subdolo

        abbraccio

        delle cime agli abissi,

        Adamo

        generante Caini

        con l’Eva

        dei serpenti stranieri

        Vai giù,

        va’ nelle mille corse

        che sbucano

        dai vicoli di vita,

        va’ al centro

        del cuore sanguinante

        di Abele

        Scaccia via gli ipocriti

        che in te

        s’accomunano al loro

        famelico

        banchetto d’avvoltoi

        Li osservi

        benedicente tu

        dall’alto

        della ferma bontà

        Essi osano

        immortalarti eterno

        concilio,

        falso decoagulante

        sorriso

        Non più grumo ti guarda

        Distruggiti

        piuttosto, se non muovi

        Distruggi

        questo gesto incompleto

        Lo sguardo

        rialza e leva gli sguardi

        che aspettano

        Chiudi la redenzione

        buon Cristo,

        chiudi le braccia Cristo!



[1] Ricordo i pranzi di questi operai, che festeggiavano i 35°C di un gennaio paulista con menu di pasta al ragù, carne, insaccati e formaggi stagionati bagnati da un buon rosso, fino all’apoteosi delle abbondanti libagioni finali con liquore di prugne fatto in casa.