Ricordi di viaggi di un italiano nascosto

di Enrico Proietti



silenzi@live.it

Londra

17.02.2014 21:22

Prima di partire, ci fu la gioia di vederti rapita dall’inatteso.

Tornati, c’è la luce di quei cieli londinesi che si erano aperti per noi a pervadermi splendidamente. Forse è generata da te, lì come adesso ancora. Io credo che tu non abbia visto Londra perché non tu la scoprivi. No, non tu, ma qualcuna che eri tu solo nella forma, e neppure appieno, ché apparivi trasfigurata, ti mostravi nuda nell’anima, ti rivelavi quale da sempre avevo intuìto.
Se quello è l’amore, l’amore è bellissimo.
E più bella ho trovato ogni parte di quella città rivisitandola con te. Nemmeno eravamo turisti, eravamo noi, tu e io, che vivevamo da noi. A Londra. Può essa assurgere a luogo dello spirito? Per noi, lo ha fatto.
Una Londra dei miracoli. Quelli piccoli, del Tower Bridge che si apre davanti a noi, dell’indiana Primasha o del fichissimo nero Mick che rincontriamo tra tutti i milioni di abitanti, della magia di un lovely pub, dello stesso sole più mediterraneo che britannico. Quelli grandi, che scopriamo dentro di noi e ci rendono ricchi.
Un altro ancora: tu in verità non hai scoperto Londra; l’hai infatti svelata. Via ogni velo meteorologico, via qualsiasi visione appannata: solo luce del giorno e notti di luci, solo persone e anime, solo noi due in un’aura di felicità. Essa aveva un punto di chiara visibilità, forse era da dove proveniva: i tuoi occhi. Si, certamente da lì si emanava per avvolgere entrambi.
Sono state ore lunghe e larghe, è stato il tuo tempo, la concretizzazione delle tue riflessioni sul tempo, passate da pensiero a realtà per nostro uso e servizio. Abbiamo esplorato dimensioni spaziali del tempo, arrestandoci senza sconfitta di fronte a domande semplici e tremende.
Sarai tu a rispondervi, saprai farlo, quando infine vorrai concederti a loro.
Intanto godi dell’estensione dei giorni londinesi, estasiata misura di conoscenza. Rivivi istanti eterni di gioia incuranti della loro impossibilità. Assapori il fascino rivelatosi, palpi l’impressione sulla tua pelle di quella vita concessa alla fantasia. Quel tempo è ancora in te; si vede. Si sente.
È d’altronde anche in me, a causa del suo stare in te, in ragione di quanto è in te.
Abbiamo sospinto la nostra unione attraverso una Londra che era nostra da prima che ci arrivassimo. Ne abbiamo semplicemente preso possesso, con la regalità riconosciuta all’amore. Magnanimi condividendola con i milioni di esseri individuali che la colorano con le proprie esistenze; le nostre rese maestose dall’apertura degli animi, dono primo e finale di questo viaggio. Dove non ho avuto bisogno di nascondermi, protetto da te, garantito dal tuo sentimento.
Sei stata capace di abbracciare la città senza escludermi, hai avuto cura anche di me, attenzione alle mie cose: paure, ricordi, commozioni, gioie e stanchezze. Hai saputo parteciparvi, piccola grande riserva di empatia, cuore felice e dolente, gioco mai immemore del buio.
Hai scorto la mia mente lacrimare dolce per certi reflussi dall’infanzia e hai avvolto entrambi nel sogno; percepito soffusi lamenti e ti sei fatta medicina; immaginato banali ilarità e hai lasciato che ti trasportassero al riso profondo. Senza scorie né segni da riportare indietro, un’esperienza non conclusa ma anzi di inizio. Quasi una catarsi, almeno per me bisognoso di purificazione.
Una Londra esuberante, sorpresa da una nuova estate, intanto assecondava la nostra invenzione di lei. Londra di birre pastose e negozi musicati, di indiani gentili e arroganti, di imperialità e intimità. Metropoli vissuta attraverso persone e personaggi in precari teatrini all’aperto e in scintillanti sale ufficiali: e nell’immenso teatro del suo quotidiano cosmopolita. Noi a disegnare i contorni della sua scena per la rappresentazione che volevamo e che abbiamo avuta.
Finché nulla ha potuto impedire la nostra natura di protagonisti, primi attori della nostra storia meravigliosa. Ce la siamo narrata a ogni passo, assegnando gli altri ruoli a chi avvicinavamo: erano le commesse spagnole, gli inflessibili vigili armati di macchina fotografica e i non curanti scaricatori, la curiosa piccola folla in attesa di chi nemmeno sapeva. Erano le nostre ombre sui marciapiedi solidi, era lo stesso pubblico che animava Londra.
Abbiamo vissuto così, eterei però concreti, il nostro largo tempo londinese.
Al ritorno non hai visto la Manica di notte: sappi che Dover ti ha salutata triste, rimpiangendo te e quel buffo elmetto di plastica che una folle contingenza ti ha costretto a indossare. Ha detto che eri tanto carina con quello in testa. Che sembravi di casa là, in quella terra che solo per te si era mostrata con lo stesso calore che porti tu dentro.
Ora scegli le immagini da riporre e t’accorgi compiacente che sono tutte, non una merita il cestino dell’oblio. Ti bei dello scorrere di un fiume di ricordi che a volte scende placido e possente, altre prorompe nell’impensata fragilità di rapide e cascate affollando la memoria di vedute, suoni, emozioni, giudizi. Non vuoi arrestarlo, anzi desideri che ti travolga.
Anch’io lo voglio per me, anch’io faccio inondare la mia campagna da poco tornata fertile. Produrrà frutti ancora migliori e raccolti finalmente non secchi.
L’ho compreso affiancando al tuo il mio sguardo alla ricerca della fine di una schiera di bianche case edoardiane o alla scoperta di un nuovo colore dei cabs. O ancora lungo la riva del Regent’s Canal a Camden Town; ma anche nella repentina e precipitosa ansia per un’attesa notturna in Shaftesbury avenue. Sempre passaggi memorabili del nostro racconto di Londra.
E a Londra ho capito davvero che questa storia vorrò narrarla per sempre, ho sentito che non la mia parte m’interessa, ma la tua.
Dei tanti accadimenti non so quale sia più nostro e forse è dubbio sciocco, perché Londra, la nostra Londra, è stata un unico momento. D’amore.
È stato buono viverlo con te: meglio sarà continuarlo per sempre, occhi color dell’anima.

 

Londra l’hai amata e io ti ho amata amarla. Forse un giorno saprò farti amare anche Parigi.

 

Not a red cabin
near Marble Arch,
nor the luxury
of an Egyptian
hall full of dreams

Not me
Not you

but we together
made the magic

Spent ev’ry hour
like souls in glory

 

*     ^     *     ^     *

 

Neither all the nicest ones passing by
nor those we met

Not a single person, being or thing
in this big town
in this Greater
Wonder of joy

Not you
Not me

but I wanted everybody to know
that I love you